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Non sai quante cose avrei da dirti, ma per quanto non abbia potuto in questi giorni, sempre travolta dalle nuove piccole e grandi tragedie che non si stancano mai di abbattersi su di me, e neanche ora possa dilungarmi quanto vorrei e avrei bisogno di fare, sei stato sempre nei miei pensieri e incessantemente ti ho chiamato in mio soccorso, ora che sono nell’attesa imminente dei grandi esiti che faranno la strada davanti a me. Ho invocato una magia potente, capace di muovere le cose, di mutare i destini, di spezzare le leggi, affinché il mio “Kun”, "Sia", divenga più potente dell'avversità delle cose.
Ho invocato una magia potente, ed ho chiamato te, per quanto tu non mi abbia forse potuto sentire, poiché la mia è una voce che s’innalza dal fondo del mare, ma come s'innalza è inabissata dal fragore delle onde terribili della mia mente, che, abbattendosi sulle spiagge desolate del "mai" e del "non è possibile", la rende muta e impotente. …..E il mare si ritirò, lasciando posto ad una spiaggia nuda, tradendo un pò delle sue profondità, svilendo la sua immensità..... E la spiaggia che aveva tolto spazio al mare sogghignava per la sua vittoria e sbeffeggiava il mare, che aveva perso terreno, non si era spinto dove anelava protrarsi. Il mare pensava che la spiaggia fosse sciocca, perché presto sarebbe giunta la notte e sarebbe spuntata la luna.
Allora giustizia sarebbe stata fatta.
La luna avrebbe chiamato a sé il mare, le sue onde si sarebbero innalzate fino al cielo. La spiaggia avrebbe tremato per l'inaudita potenza.
Il mare continuava a fluire, poiché tutto ciò che è vivo si muove e ondeggia.
Il mare l'aveva appreso osservando nelle lunghe notti d'inverno la fiamma splendente del Guardiano del faro. Il mare sapeva che il Guardiano conosceva tutte le cose, poiché sedeva al di sopra del mare e parlava col vento.
Mentre fluiva, il mare pensava. Sapeva che quella notte, sarebbe stata un'altra notte senza luna.
Il mare attendeva, con trepidante attesa, poiché quando si sarebbe ricongiunto al cielo ogni ferita sarebbe stata sanata, ogni ingiustizia sarebbe stata vendicata, nessuna spiaggia avrebbe più potuto sottrargli spazio, perché solo l'immensità sarebbe stata la sua dimora.
Il Guardiano si accorse delle inquietudini del mare e allora colse, come se fosse un frutto, una piccola fiamma dalla grande luce della sua lampada e la lanciò verso il mare. La spiaggia per un momento rimase attonita per l'inconsueta bellezza di una fiamma che si dirigeva come una stella cadente verso il mare.
Poi scoppiò in una fragorosa risata, poiché, pensava, “il mare non è fatto di cielo e quando la fiamma si poserà sul mare, si spegnerà miseramente. Finalmente tornerà il buio ”.
La scogliera osservava.
Il suo cuore era caldo, poiché molti innamorati avevano indugiato presso di lei in canzoni d'amore. La sua fede era rinvigorita dall'aver visto moltitudini di mani che si erano dimenticate, ritrovarsi, mentre guardavano il mare.
La scogliera, che affondava nel mare e si protraeva verso il cielo, conosceva bene il mare e ne custodiva con devozione i segreti. Le sue erosioni erano la mappa di un viaggio infinito, le testimonianze di una guerra aspra, cruenta, mai conclusa, del mare contro la spiaggia.
Quante volte il mare si era infranto contro di lei, mentre la spiaggia si inorgogliva di ciò, pensando che anche la scogliera guerreggiasse contro la sua furia malvagia.......Pensava questo, cieca nella sua aridità, sorda nella sua quiete.
Ma l'impetuosità dei loro incontri era quella degli amanti, non quella dei nemici ed insieme ridevano della spiaggia, mentre la spiaggia rideva malignamente del mare. Ridevano, e quando ridevano il mare schiumeggiava e una spuma bianca accarezzava dolcemente le rocce della scogliera.
E la scogliera pensava: " Vedi, non c'è bisogno di vivere al ghiaccio e al gelo, per imbiancarsi di morbida neve. Il sole riscalda il mare e un caldo manto di neve candida mi avvolge in un abbraccio ritemprante di gioia e consolazione".
La piccola fiamma continuava a discendere nel suo viaggio amorevole verso il mare, finché non giunse ad un soffio dal mare e poi ancora più vicino, finché, senza spegnersi, ne attraversò la sottile superficie, continuando il suo percorso fino al fondo del mare.
No, non avrebbe mai potuto spegnersi, perché per quanto la spiaggia nella sua ignoranza vedesse l'acqua e il fuoco come elementi contrapposti, in realtà erano fatti della stessa cosa.
Il Guardiano sapeva tutto questo e la scogliera sorrise, ma lievemente, affinché il mare non si distogliesse da quello che poteva sembrare un miracolo, ma solo a chi non possedesse la conoscenza della natura del mondo.
La fiamma procedeva con la fermezza di chi sa di portare la verità. Finché non raggiunse il fondo, dove mai erano riusciti a giungere i raggi del sole. E lo illuminò.
Il mare, nella sua estensione infinita, aveva conosciuto luoghi tanto lontani da sembrare impossibili a credersi, tanto che più volte la spiaggia, che, nella sua limitatezza, non concepiva l'esistenza di nient'altro, se non del poco che conosceva, lo aveva schernito e deriso dicendogli: " La tua avidità di estenderti oltre te stesso, in cerca di spazio illegittimo e inutile, ma fortunatamente senza riuscirci, poiché io ti combatto duramente, ti ha fatto impazzire. Se proprio non puoi accontentarti del molto che già possiedi, né puoi rinsavirti, almeno smettila di vaneggiare ad alta voce, che le tue chiacchiere insulse mi infastidiscono, se non finiranno addirittura con il nuocermi."
Il mare, che tanto aveva saputo e sperimentato, fino a quel momento, tuttavia, non aveva mai visto il suo fondo. Qual rombo che non si era mai udito, nè in cielo, nè in terra, emise il suo cuore, quando vide che la sconfinata immensità del suo oceano poggiava su un fondo sabbioso, del tutto simile a quello della sua acerrima nemica!
Ormai era notte fonda, ancora una notte senza luna. La spiaggia giaceva addormentata già da un po’, ma il suo non era un sonno tranquillo, si voltava e si rivoltava tra le pieghe leggere del vento, poiché anche chi non sa, talvolta, quando nel sonno si allentano le tenaglie della falsa conoscenza, può venir raggiunto dal mormorio delle mani laboriose che tessono i destini imperscrutabili degli esseri.
Non poteva dormire il mare. Si contorceva nella consapevolezza di aver perso ogni battaglia prima ancora di poterla combattere, poiché per quanto la sua immensità avrebbe potuto sovrastare la spiaggia, sempre sulla sabbia sarebbe rimasto posato, per quanto non ne facesse parte, finché non fosse giunta la luna, a rapirlo da quella condizione penosa, a riportarlo a casa, in cielo.
Fu ancora l’alba e la spiaggia si risvegliò al nuovo giorno, come aveva fatto negli infiniti giorni d’immemorabili ere. La spiaggia si risvegliò come se nulla fosse accaduto, poiché chi non è avvezzo alla Verità e la scorge per la prima volta, non può abbracciarla in un solo giorno, come occhi lungamente avvolti dal sonno non potrebbero mai spalancarsi alla Luce, senza morirne.
Spuntò un nuovo giorno sul mondo, ma per il mare era ancora notte. Voleva che fosse notte, perché sapeva che di notte se ne sarebbe andato, forse una notte ancora così lontana, tra anni, secoli, o addirittura ere, ma pur sempre di notte.
Non avrebbe mai più combattuto, mai più sperato, avrebbe solo aspettato.
Altri giorni e altre notti trascorsero, senza che nessun mutamento avvenisse nel mare, ma il Guardiano sedeva tranquillo, in cima al faro. Come sempre.
"Che cuore impietoso è il tuo? Non un dono di conoscenza, ma di sconforto e di disperazione è quello che mi hai lanciato!" Così pensava il mare, rivolgendosi al Guardiano.
Ma quello stesso giorno qualcosa cambiò nel cuore del mare. Iniziò a pensare che forse un motivo c'era se era posato sulla sabbia, che essa non era solo un impedimento al ricongiungimento cui tanto anelava, ma una tappa del suo viaggio di ritorno verso casa.
Capì che gli eventi hanno tempi e moti propri e talvolta non può accadere questo senza quello.
Pur non appartenendo al mondo della spiaggia, prima era lì che doveva ergere il suo regno, sulla sabbia, conquistando l’immensità cui era degno, prima in terra, solo poi in cielo.
La piccola fiamma del Guardiano gli aveva mostrato una grande verità del suo cuore e con questo, la capacità di vedere, poiché chi sa vedere il proprio cuore, sa vedere tutte le cose.
Ma questo non risollevò il cuore del mare. Una sofferenza ancora più grande crebbe in lui.
Pensò alle miriadi di esseri che erano rimaste dove un tempo ancora si estendevano i suoi flutti, conchiglie abbandonate dall'alta marea su campi cui ormai credevano di appartenere, dimentichi dell'immensità del mare che di loro fu genitrice, mentre il mare era ancora lì, col suo moto perenne, e cingeva quei campi da ogni lato, per quanto le conchiglie non ne riconoscessero più né il profumo, né il suono, e ignorassero persino che la nebbia che li avvinghiava in certe notti con loro supremo terrore altro non era che la schiuma del mare, che s'innalzava col vento alla loro ricerca, poiché tutto ciò che viene separato, brama il ricongiungimento.
“Siamo mondi concentrici”, pensò con commozione il mare. “Come potrei mai ritrovare la mia casa, se prima non ritroverò quelle conchiglie sperdute? Forse qualcuna di loro ancora ricorda la sua casa, ma tutte, pur senza saperlo, bramano di tornare da me, poiché io sono la loro casa, come il cielo è la mia”.
Ma le conchiglie non sarebbero mai potute tornare da sole e il mare se ne rese presto conto. Quel destino non avrebbe mai trovato il suo compimento. La sofferenza del mare divenne implacabile.
“Devo riconquistare ciò che era mio, poiché se anelo a qualcosa, certo significa che un tempo era stato mio.”
Ma come poteva il mare riconquistare il terreno perduto, ormai da così lungo tempo? Come raggiungere le conchiglie disperse? Come superare la barriera di così tante spiagge e campi e vaste desolazioni che lo separavano dai suoi figli lontani? Il mare si struggeva in queste riflessioni e in molte altre ancora.
Era una splendida mattina assolata, quando il mare scorse una piccola figuretta appena delineata che si muoveva disordinatamente ai piedi del Guardiano del faro. Nel pomeriggio, le rive del mare accolsero con benevolenza i suoi giochi infantili.
“Chi sei?”, domandò il mare.
“Sono il figlio del Guardiano del faro”, rispose con naturalezza il bambino, come se non s’aspettasse che il mare potesse rivolgergli una simile domanda.
“Non sei mai stato qui, da dove vieni?”
Per un istante vi fu silenzio e il bambino guardò fissamente il mare. Poi, improvvisamente, il piccolo s’inclinò indietro, si prese buffamente la pancia tra le mani e scoppiò in una gran risata, tale che il mare non l’aveva mai udita prima.
“Ma vuoi proprio burlarti di me, oggi! Come potrei mai essere qui, ora, se non ci fossi già stato infinite volte?”
Il moto del mare allora si fece pensoso, le sue onde si allungarono dolcemente sulla riva, come se volesse protrarsi con la memoria verso i lidi remoti del tempo che fu, verso onde e spiagge e giochi di bambini passati.
Echeggiavano nella sua mente risa distorte come gabbiani lontani. Velieri di carta che come i destini degli uomini ora prendevano il largo, ora affondavano tra le onde leggere del tempo. Il bambino allora si fece mesto, la malinconia del suo cuore s’ irradiava tutt’intorno a lui, ma era la malinconia propria di tutti coloro che conservano negli occhi il ricordo delle cose del mondo.
Malinconia, non tristezza.
“Sono sempre stato qui, per quanto le nebbie del tempo possano aver offuscato il tuo ricordo di me. Anche quando non potevi vedermi, ero qui. Conosco tutto di te, come tu conosci tutto di me, poiché eravamo insieme”
Il bambino allora si voltò e riprese la via per il faro, lasciando il mare, meditabondo, ai propri pensieri.
Quella sera, quando il sole tramontò, il cielo aveva qualcosa di dolciastro. Nessuno se ne accorge, ma il mondo è in perpetuo dialogo con le cose che lo compongono. I suoi colori, i suoi profumi, tutto di lui interagisce con i voli ora alti, ora leggeri delle coscienze che lo abitano, senza che niente sfugga alle pieghe incomprensibili della consapevolezza.
Un mondo apparentemente silente vigila sul torpore degli esseri. Il mare quella sera s’addormentò dolcemente, cullato dal calore di quell’incontro inaspettato.
“Sei tornato da me!”, sussurò in sogno il cuore del mare
“Sì, sono tornato”, rispose il bambino dall’alto del faro
E un’inconsueta letizia, come rugiada del mattino, si posò lieve sui loro cuori.
Man mano che la notte dispiegava il suo manto buio, tuttavia, i ricordi cominciarono a fluire con inarrestabile moto nella mente del mare e le antiche sofferenze e l’aspra lotta e il suo cuore si fece dolente.
“Perché sei tornato oggi e non ieri, non l’altro ieri, perché non prima, perché solo ora?”, infuriava il mare.
“Nessuno conosce l’arsura del cuore come me. I morsi dell’anima di chi anela a protrarsi oltre se stesso e oltre ancora”.
“Dov’eri quando le leggi cieche del qui e dell’ora piegavano il mio spirito come vento furente sui campi? Non sentivi il mio grido, allora? Era sordo il tuo orecchio, impotente la tua mano?”
Il bambino avrebbe voluto correre fino al mare e placare la sua anima inquieta, ma il Guardiano lo ammonì:
“Lascia che sia! Anche di questo ha bisogno il mare”.
Il bambino comprese e si riaccucciò nel lettino.
Non appena fu giorno il bambino si recò alla spiaggia e senza attendere che il mare gli rivolgesse parola disse:
“Quando un sovrano ha deciso d’intraprendere una guerra per espandere il suo regno, chiama a se gli antichi alleati, che già lo avevano accompagnato nelle precedenti spedizioni, che gli avevano mostrato fiducia e amore e che lo avevano condotto alla vittoria”
Detto questo il bambino si sedette, in attesa che il mare interrompesse il suo silenzio. E così fu.
“Ero ancora una goccia e già sapevo che sarei divenuto un guerriero. Eravamo una goccia d’acqua e un granello di sabbia e già aveva avuto inizio la nostra lotta”.
Il bambino lo interruppe, affinché le emozioni negative del mare non prendessero il sopravvento:
“Era ancora un seme e già sapeva che sarebbe divenuto frutto, eppure, quante stagioni sono trascorse, prima che divenisse frutto?”
Il mare tacque.
Il bambino lo incalzò dicendo:
“Ora sono qui, poiché non può sorgere preghiera dalla terra, senza che discenda risposta dal cielo”.
“Ma guarda! –infuriò il mare –Sei venuto a prenderti gioco proprio del mare! Un piccolo uomo come te! L’immensità del mare avrebbe bisogno di un nano!”
E rise beffardamente, disperatamente.
Il bambino, che dal Guardiano aveva appreso la scienza dei cuori, non si scompose e riprese a dire:
“Forse la bocca del mare non ha mai proferito parola, ma ogni notte e
ogni giorno dal suo cuore s’innalzava un canto.
Il cuore sa intessere canti ben più potenti di quelli composti da voci sublimi e strumenti perfetti”.
Allora il mare sorrise benevolmente e sorrise anche il bambino. Il mare avrebbe voluto riparare a quanto aveva detto poc’anzi, ma prima ancora che potesse dire qualsiasi cosa, il bambino, pensando alle parole che il Guardiano aveva pronunciato quella notte, disse:
“Anche di questo ha bisogno il mare”
Non s’era mai scorta in tutto il mondo creato una tale vicinanza tra l’anima del mare e l’anima di un bambino, ma quello, non era un bambino qualsiasi, era il Figlio del Guardiano del faro.
Il mare accolse il bambino nel suo cuore, come si accoglie chi torna a casa dopo un lungo viaggio. Poi fece un gran respiro e disse:
“Molti hanno solcato le mie onde, da parte a parte. Ero affascinato dai viaggiatori del passato, che tanta conoscenza avevano delle scienze del mondo e dell’anima degli esseri. I loro canti erano brezze leggere che spingevano il mio spirito verso lidi inusitati di perfezione e bellezza.
Una volta fui ammaliato dal capitano di un veliero che, con carte e bussole scovate in luoghi lontani, pretendeva di poter fare da maestro al mare, di sondarne le profondità, di svelarne gli abissi. Era solo un uomo di terra, non di mare e la mattina seguente mi adoperai a spingere a riva i resti della sua povera barca che non aveva resistito alla forza possente del mare.
Piccole, misere imbarcazioni, talvolta mi fuggivano, mi aggredivano, correvano a riva schifati non appena preso il largo, accusando le mie acque di essere nere e sporche. Non si accorgevano che erano le loro squallide navette a perdere carburante.
Così le aiutavo a giungere presto a riva, per liberarmi il prima possibile di loro e delle loro sozzerie.
Molti mi hanno amato. Alcuni, pensando ormai di possedermi, credevano di poter fare del mare un placido lago. Altri, deboli di vista e di cuore, scambiandomi per lago, si sono immersi nelle mie acque, ma quando i miei flutti sopraggiunsero, annegarono miseramente.
Una volta la mia attenzione fu attirata da un corvo d’inconsueta bellezza che, immobile sulla scogliera, mi osservava ormai da lungo tempo, senza decidersi a spiccare il volo. Quando lo interrogai sul suo insolito comportamento, mi disse:
“Oh sì, splendido mare, ti osservo fissamente ormai da immemorabile tempo, poiché una volta ero un gabbiano e sorvolavo le tue immense distese. Ho viaggiato per terre straniere, rinvigorito nel cuore da poeti lontani che tutti mi parlavano di te e dai miei ricordi che pur sbiaditi dal tempo mi fanno raggelare ogni volta che mi trovo d’innanzi a te”.
“Spicca il volo, allora, splendido essere. Non temere il mare, se è vero che già ne eri parte in tempi passati. Non ti lascerò cadere, quando sarai stanco del lungo volo, poiché anch’io riconosco in te un compagno passato. Invocherò per te una brezza dolce che ti saprà sorreggere e ritemprare”
Ma il corvo non prestava ascolto alle mie parole. I suoi occhi erano sempre su di me, ma il suo sguardo era perso, la sua coscienza si era smarrita presso deserti di sconforto e desolazione che la sua anima non riusciva ad abbandonare.
“Sei l’immagine perfetta cui la mia anima anela, ma che non potrò mai raggiungere. Né però potrei rinunciare ad osservarla, se pur immobile. Mi accontenterò di tornare qui, presso di te, di volta in volta, per poi tornare da dove sono venuto, e poi tornare e andare, ancora e ancora……”
E ogni volta che andava, imperava la promessa del suo ritorno, e ogni volta che tornava, incombeva la minaccia della sua dipartita.
Il mio cuore ne era straziato, finché un giorno, senza parlare, lo scaraventai giù dalla scogliera.
L’immobilità è una contro-creazione depositata nei cuori assopiti e quiescenti. Non potrebbe mai sopportare tutto questo, il mare.
Molti mi hanno amato, ma nessuno mi ama come te”.
“La comprensione e la condivisione generano un amore superiore ad ogni altro. L’unione è il fine di ogni essere minimamente senziente. Basta essere vivi, come lo sono le piante e le rocce, per comprenderlo. Anche questo voleva insegnarti la piccola fiamma lanciata dal Guardiano. Quello che hai visto alla sua luce ti ha mostrato che la tua non è una storia di guerra, ma di espansione della coscienza. Nessuna storia di guerra potrebbe esserlo”.
“Ma tu mi hai parlato di un re, di una guerra, di un alleato”, replicò il mare.
“No, io ti ho parlato di una conquista, non di una guerra. E in ogni modo ti ho parlato in un linguaggio che tu potessi comprendere. Le parole non sono così
importanti, sono solo ponti, affinché ciò che sente il mio animo possa giungere al tuo. Sono come abitanti, che transitano da terra a terra e se potessero volare, allora non ci sarebbe più neanche bisogno di ponti.
Soltanto coloro le cui anime sono regioni desolate e disabitate prestano tanta attenzione ai ponti”.
Dolce era il fluire del mare al cospetto del bambino, la sua anima si faceva sempre più grande, così da abbracciare nello stesso istante ogni angolo di mondo ove giungesse mare.
Un giorno il vento portò alle orecchie del mare voci dimesse provenienti da campi lontani e il suo cuore, così colmo di speranza e leggerezza, d’improvviso si rabbuiò.
La tristezza del mare giunse al cuore del fanciullo e, nonostante fosse ancora notte, il Guardiano andò dal bambino e, per la prima volta, gli disse:
“Vai, ora il mare ha bisogno di te”
Quando il bambino giunse dinnanzi al mare, senza parlare si sedette sulla spiaggia dormiente, sicuro che il mare gli avrebbe aperto il suo cuore e così fu.
“Oltre queste spiagge e questi lidi si estendono campi sconfinati, dove un tempo una terra calda e benevola accoglieva con abbraccio materno semi pronti a germogliare in forme la cui bellezza era tale da costituire un canto di lode a Dio. Il vento forte di ieri me ne ha narrato la storia, ma con la notizia delle loro vicende è giunto a me anche un grido disperato di sofferenza e terrore che ha fatto tremare il mio cuore e il mio spirito e ha fatto vacillare le mie certezze e le mie speranze. Un’erba incolta e infestante sopraggiunge con violenza, strappando alla loro terra teneri germogli pronti alla vita e fiori le cui fattezze certo furono dipinte dalla mano degli angeli. Nella sua avanzata c’è solo morte e sete implacabile di distruzione, né segue i ritmi del sole, cui i fiori da sempre hanno regolato i loro cicli vitali. E questo volgere contro natura indebolisce i fiori, ma non loro, anzi, accresce la loro furia, si tramuta in una nuova arma, così che non appare efficace alcun rimedio, poiché ogni medicina al suo contatto si tramuta in veleno e diviene un nuovo strumento di morte e ingiustizia. Il loro spirito anela alla libertà come il mio e certo non può rimanere indifferente uno spirito che anela alla vita, quando si trova al cospetto della negazione alla vita stessa”
Il bambino rimaneva silenzioso, preoccupato, sicuro che il mare stava arrivando al nocciolo della questione e, infatti, il mare non deluse le sue attese e riprese a dire:
“Sei giunto da me affermando che non può sorgere preghiera dalla terra senza che discenda risposta dal cielo. Ebbene, chi accoglie le preghiere di quelle anime oppresse? Forse le loro voci dimesse non sono degne di essere ascoltate? Non c’è nessun figlio del Guardiano per loro? Che vale un frutto di luce lanciato allo spirito del mare, quando il mare si estende oltre lidi in cui ogni luce viene negata? Una mensa abbondante è un sacrilegio al cospetto del mendicante che non può accedervi….”
Il bambino interruppe la voce furente del mare e con benevolenza prese a dire:
“Oh, mare, la tua anima è grande, il tuo spirito ha attraversato infinite ere come cavalcando destrieri di fuoco, ma il tuo cuore è ancora troppo giovane e con smodata irruenza si protrae alla ricerca di risposte per placare la sua sete di conoscenza e di verità.
La giustizia non è una dea dai piedi alati che sopraggiunge tempestiva al cospetto degli eventi del mondo ”.
Il mare non rispose, allora il bambino continuò:
“Io sono qui affinché tu possa giungere dove desideri arrivare. Sono qui ora perché è questo il momento in cui tu hai bisogno di me.
Non guardare con incredulità ad un dono che aspira al compimento del tuo Destino personale. Il tuo successo non è un sacrilegio, il mio arrivo non è un insulto verso coloro che sono soli e abbandonati, la gioia di uno è una promessa per molti. Fallendo a tua volta, non leniresti in nulla il fallimento del mondo. L’unica cosa che non dovrai mai permettere che accada è dimenticare cosa hanno visto i tuoi occhi, cosa ha sentito il tuo cuore, cosa ha conosciuto la tua anima. E’ così che il mondo si è perso. “.
Mentre il bambino così parlava, un fascio di luce si fece strada tra le nuvole.
“Se tu potessi vederti in questo istante, vedresti la perfetta corrispondenza tra la luce del cielo e quella che si riflette sulla tua superficie e capiresti che quella simmetria visibile è lo specchio di un’appartenenza spirituale. Quando ciò che deve compiersi è vicino alla sua realizzazione, il filo invisibile che ti lega alla tua vera patria dà segni tangibili della sua realtà e si rende un percorso percorribile, per coloro che sanno vedere. Allora non possono più esserci dubbi sulla direzione da prendere, poiché la strada è lì, devi solo percorrerla”.
Il bambino fece una pausa, poi disse:
“E’ ora!”
“E’ ora?!”, ripeté il mare, in un sussurro tremante, incerto, delicato.
“Il mondo è un grande corpo, e se una voce trova un orecchio, certo un evento troverà una mano”.
“Una mano?!”, ripeté ancora il mare, stordito, quasi ipnotizzato.
“Io sono il Figlio del Guardiano del faro e dal Padre mio ho appreso l’arte di parlare con il vento. Molte volte ti sei innalzato con la brezza notturna per andare in cerca delle tue figlie disperse. Io ascoltai i tuoi richiami e, con me, l’universo. Ora invocherò i venti, tutti, e li chiamerò al tuo cospetto, affinché ti sostengano al di sopra del qui e dell’ora nella traversata verso il tuo Destino in terra. Ora è giunto il momento”.
Le mani del bambino iniziarono a volteggiare nell’aria, la sua voce divenne un suono melodioso e potente. Il cielo si tinse di colori mai visti, le nuvole iniziarono a vorticare precipitosamente, come i colori sulla tela di un pittore ispirato dalla propria follia.
“E’ la fine del mondo!”, urlò la spiaggia, ritraendosi per lo spavento.
“No, il mondo comincia ora!”, incalzò la scogliera, felice per il miracolo tanto atteso che si stava compiendo dinnanzi ai suoi occhi.
I venti accorsero, come antiche divinità a convegno, cavalcando una luce ancora più dolce della prima aurora, eppure assai più splendente di ogni fuoco che abbia illuminato fino ad allora il mondo.
Una vertigine percorse il mare, il mare tutto, fino ai confini più remoti, finché dolcemente i venti si insinuarono tra le sue onde e lo sollevarono fino ad altezze che mai uno spirito prima avrebbe potuto concepire.
Le spiagge furono inondate e i campi e il cielo persino, in quel momento, si fece mare. E l’orizzonte lontano cui il mare tanto a lungo aveva guardato con intensa nostalgia pure divenne mare, finché giunto oltre ancora iniziò ad udire un canto melodioso, un fascio di voci che producevano un fragore dolce, intenso, come proveniente da lontano, da un altro mare, un mare invisibile.
“Il mare invisibile! Quanti bambini mi parlavano della magia del mare invisibile! E come piccoli maghi in cerca di un incantesimo facile da compiere, mi chiedevano in dono una conchiglia, per poggiarla sull’orecchio e compiere la magia del mare invisibile! Non ho mai creduto alle loro vocine incantate, non comprendevo i loro sguardi sognanti…neanche il mare, finché giace in terra, conosce tutti i segreti della sua natura. Forse, se prestassi più attentamente ascolto a tutte le cose del mondo, sentirei un canto innalzarsi da ogni creatura, da ogni essere vivente, pianta, o roccia, poiché tutto ciò che vive si protrae verso il piano che le è immediatamente superiore della cui potenza non è che un’irradiazione. L’antica sapienza orientale non proclamava forse che l’Universo avrebbe tratto origine a partire da un suono? Ed il suono delle conchiglie non è forse testimonianza del percorso bipolare intrapreso dalla coscienza? E’ un canto, una preghiera, un’invocazione. Una dichiarazione d’appartenenza. Ed eccomi, dunque, sono giunto!”
Le conchiglie finalmente tornarono al mare, la loro casa, il loro luogo d’origine, il loro substrato spirituale. L’infinito era tutto lì, in nessun altro posto, in quell’attimo di perfezione assoluta, quando ogni Destino si compie.
L’universo divenne una cosa sola, una sfera lucente, come una biglia di vetro stretta nella mano di un bambino.
Ma d’un tratto il mare s’accorse che una conchiglia ancora giaceva posata sulla spiaggia. S’era ritratta all’avanzata potente del mare.
Allora il mare la chiamò a se, poiché è incessante il richiamo per coloro che possono udire.
“Hai forse dimenticato che è da me che tu provieni?”, disse il mare.
“Oh dolce mare, no, certo che no! Il ricordo di te non mi hai mai abbandonato, né dopo millenni che ero posata su questi campi stranieri, né mai. Io sola udivo la tua venuta, nelle fredde notti senza luna, quando giungevi in cerca di noi, qui, dove già un tempo si erano posate le tue acque. E attraverso le incolmabili distanze che ci separavano, sentivo le tue pene, ascoltavo le tue preghiere, assistevo ai tuoi sogni. Io sono parte di te, il tuo destino è il mio. Ma prima non lo sapevo. Bramavo solo di tornare a te, non vedevo nient’altro, come tu non vedevi altro che il cielo. Ora che sei qui, io so che non è questo il momento, come non era per te tempo di giungere al cielo. Ma non è già la consapevolezza di un legame, un ricongiungimento?
“Siamo mondi concentrici”, ti sentii pensare un giorno e allora un’altra verità mi si dispiegò dinnanzi. Io sono una conchiglia. Quante vite abitavano in me un tempo? Di quanti esseri fui la dimora? Come potrei tornare al mio luogo d’origine, se ciò di cui io fui l’origine a mia volta, prima non tornerà a me? E’ questo il Destino che devo compiere, prima di tornare a te…”
E fu così che la storia ricominciò.
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